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  • 27 marzo 2005 - LA DEVOLUTION FANTASMA dall´Avanti del 27 marzo 2005

    Accentramento dei poteri, mortificazione delle Regioni, riduzione del ruolo delle autonomie locali La maaggioranza sta creando una drammatica confusione istituzionale senza fare alcun passo nella direzione di un vero federalismo, compreso quello fiscale È ormai chiaro a tutti che il testo di riforma costituzionale finora approvato dal Parlamento è prima di tutto il frutto di un compromesso tra partiti che nella maggioranza hanno tra di loro idee e obiettivi divergenti. Il risultato è una riforma devastante quanto farraginosa e confusa. Frutto di una politica di bassissimo profilo. Questa riforma non affronta seriamente alcun nodo per il quale, da oltre 20 anni, fu posto il tema di una revisione costituzionale: l’elezione diretta del Presidente della Repubblica nella conferma di un sistema di governo di tipo parlamentare; il superamento del bicameralismo con la nascita del Senato delle Regioni; la costituzione di uno Stato federale ripartito con pari dignità tra Comuni, Regioni e Stato centrale; la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e la separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici. Viceversa scompare un’idea chiara dello Stato. Nasce una forma di governo molto confusa, mezza parlamentare e mezza no. Si pasticcia sulla figura e sulle funzioni del Presidente della Repubblica, indebolendolo, e si pasticcia sulla figura del capo del Governo, introducendo un premierato tanto anomalo quanto nostrano. Non si riduce il numero delle Camere; si complica e si rende incerto il processo di formazione delle leggi; si aumenta la conflittualità tra Camera e Senato; sono destinati ad aumentare i conflitti tra istituzioni dello Stato e tra Stato e autonomie. Mortifica le Regioni e riaccentra, rispetto a quella varata dal centrosinistra nel 2001, alcuni poteri nelle mani dello Stato centrale. Il centrosinistra, che ha davanti a sé una lunga battaglia di opposizione fino all’indizione del referendum confermativo che si terrà o poco prima o poco dopo le elezioni politiche del 2006, farebbe male a condannare questa riforma indicando come elemento negativo prioritario la devolutione e il federalismo. Alla faccia della Lega, che porta a casa un risultato elettorale e propagandistico, in questa riforma non c’è alcuna devolution né alcun federalismo. Per questo non convincono quelle posizioni che nel centrosinistra privilegiano nella polemica questo argomento anziché “sbugiardare” la Lega e attaccare la maggioranza per un’altra promessa non mantenuta. L’ha capito bene Michele Salvati che, pur di non approvare una riforma ben più dannosa su altre questioni, ha proposto una mediazione tra i poli per trovare una soluzione unitaria sul Titolo V ritenendo lo spazio di mediazione possibile e convinto peraltro che questa parte non sia nella riforma la parte peggiore. Definire la devolution anti-stato, per come emerge dal disegno di legge costituzionale, è quindi del tutto fuori luogo. Anzi, dietro tanto fumo negli occhi, c’è in peggio rispetto ad oggi l’accentramento dei poteri nello Stato centrale, la mortificazione delle Regioni e la riduzione del ruolo delle autonomie locali (significativo il voto in dissenso dalla maggioranza del senatore altoatesino Gubert). Non accorgersene può fare, senza volerlo, l’ambiguo gioco dei leghisti che non hanno neppure capito che la parola devolution è del tutto inadeguata ad indicare correttamente un vero e sostanziale processo di federalizzazione. Devolvere significa concedere con possibilità di ritirare in qualunque momento (come ha dimostrato Tony Blair, quando di punto in bianco nel 2002 ha revocato ogni forma di devolution in Irlanda del Nord). Per devolution non si intende la concessione di un vero potere legislativo e questo disegno di legge costituzionale chiama federalismo una cosa che non c’è. Il Senato è federale solo di nome. Strutturalmente non c’è nessuno degli elementi che definiscono una seconda Camera federale: la parità di rappresentanza di tutti gli enti federati (come ad esempio in USA o in Svizzera), o una rappresentanza con mandato imperativo in quanto di diretta emanazione degli enti federati (come in Germania). L’unico tenue collegamento in questa legge è la contestualità tra l’elezione del Senato (che avverrebbe nella sua forma completa solo nel 2016) e l’elezione dei consigli regionali. Il che è ridicolmente insufficiente a creare un legame organico tra Senato e Regioni. Inoltre, ulteriore mortificazione, i rappresentanti delle regioni nel Senato federale saranno presenti senza diritto di voto (ma chi andrà in Senato a perdere tempo?). E ancora, ogni effettivo decentramento di poteri è minato alla base sia dalla modifica dell’articolo 120 che prevede poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle Regioni e degli enti locali, senza precisazioni procedurali o casistiche, ma soprattutto dalle modifiche all’articolo 127 (voluto, non a caso, da AN) che prevede una procedura del tutto inusitata di annullamento da parte del Parlamento in seduta comune di leggi regionali o loro parti, con una deliberazione a maggioranza assoluta (neanche a maggioranza qualificata). Anche le città metropolitane (qualora mai si volesse farle) sarebbero regolate non da leggi regionali, ma da leggi dello Stato. Il centrosinistra quindi deve condurre ogni sua battaglia, da qui al referendum, non accusando la maggioranza di sfasciare lo Stato con la devolution, ma di sfasciarlo con una drammatica confusione istituzionale per molte altre ragioni, e per di più senza fare alcun passo avanti nella direzione di un vero federalismo, compreso quello fiscale.

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