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Associazione Riaprire i Navigli


  • 22 novembre 1997 - ATTIVO REGIONALE PER LA COSTITUZIONE DEI COMITATI PER L´UNITA´ DEI SOCIALISTI. Milano, Circolo della Stampa - relazione di Roberto BISCARDINI

    1. Il 26 settembre a Roma si è svolta una manifestazione congiunta tra i rappresentanti dei Socialisti Italiani, del Ps e del Psdi per dare avvio al processo di riunificazione della diaspora socialista. Ora da Milano, che è stata in molte occasioni il laboratorio di tante novità politiche, intendiamo fare un passo avanti verso la riunione in un unico soggetto politico di tutti i socialisti che ci stanno e dare una risposta a quanti in questi anni, da socialisti, hanno rifiutato sia la “proposta indecente” di finire nel centro destra sia a quella altrettanto “indecente” di confluire nel Pds.
    Come ha ricordato in quella occasione Enrico Boselli, intervenendo alla manifestazione insieme a Ugo Intini, Gianfranco Schietroma, Claudio Martelli e Ottaviano del Turco “Sin dalla nascita del SI, nel novembre 1994, abbiamo affermato che la nostra nuova organizzazione politica, nata dopo lo scioglimento del Psi non pretendeva di essere la sola espressione politica delle molteplici e diverse realtà e personalità del movimento socialista. Ma, a differenza di altri abbiamo tuttavia sempre detto che la componente più numerosa ed importante di questa diaspora era ed è rappresentata dai milioni di elettori che in numerose prove elettorali avevano dato fiducia al Psi.”
    Oggi siamo in condizioni migliori di ieri per offrire a questi elettori uno sbocco, ma dobbiamo avere, noi per primi, il coraggio e la convinzione che si deve aprire, pur nella continuità del lavoro fatto in questi anni, una fase politica nuova.

    2. Oggi costituiamo i comitati per l’unità dei socialisti, non per costruire un vecchio Psi ma per dare al nostro elettorato potenziale uno sbocco politico. Costituiremo comitati in tutta la Lombardia sia a livello regionale che locale, coinvolgendo i simpatizzandi socialisti nei comuni, nei luoghi di lavoro e là dove riterremo che essi possano diventare momenti di autentica partecipazione.
    Ci rivolgeremo soprattutto ai socialisti senza tessera, ai circoli esistenti e a quelli in via di costituzione, recuperando un rapporto con il mondo diffuso della cooperazione, con l’associazionismo, con il volontariato, con il mondo della scuola e delle professioni.
    Affinché sia ancora più chiara l’intenzione di riunire energie nuove, a capo dei comitati non è assolutamente necessario che vi siano gli attuali dirigenti politici del SI, del Ps e del Psdi, e non è assolutamente necessario che siano irrigiditi in sterili strutture burocratiche. E’ opportuno che siano costituiti in modo molto aperto, con chi ci sta e soprattutto con tutti coloro che, firmando l’Appello che sarà a disposizione nelle prossime settimane, non solo si riconoscono su una prospettiva politica comune ma dimostreranno la propria disponibilità per dare al movimento socialista di domani nuovi strumenti organizzativi e nuovi contenuti.
    A chi aderirà ai Comitati per l’unità dei socialisti offriamo tre cose molto semplici:
    - la prima è uno spazio di elaborazione politica affinché chi intenda portare il proprio contributo di idee e di esperienza possa farlo in libertà, senza mediazioni e interferenze di apparato;
    - la seconda riguarda il congresso nazionale e regionale costituente che dovrebbe tenersi almeno entro sei mesi, anche con regole straordinarie, a testimonianza di quanto straordinario dovrà essere quel congresso;
    - terzo, il nuovo partito socialista non è la fotocopia del vecchio, non perchè si debba rinnegare la storia e la memoria, ma perchè in Europa e nel nostro Paese ormai tutti ed i giovani in particolare chiedono a chiunque, e quindi anche a noi una nuova politica.


    3. Il “Partito del nuovo socialismo” dei socialisti dovrà essere fortemente federale, non centralista, al pari di come vogliamo che sia l’organizzazione del nuovo Stato, contrapponendoci a quanti si dichiarano federalisti quando parlano di riforme, ma ripropongono modelli centralisti e romanocentrici nella propria organizzazione interna.
    Non è un problema dei soli socialisti italiani, anche per Tony Blair “il cambiamento del partito non è separato dal cambiamento dell’apparato istituzionale”. Quindi organizzarci da subito in partito federalista è il modo migliore per costruire concretamente un percorso di rinnovamento istituzionale nel Paese. Ciò implica far nascere nuovi gruppi dirigenti regionali e locali, costruire leadership diffuse, proseguire nell’allargamento del gruppo dirigente nazionale ed evitare che la vecchia logica centralista, caratterizzata spesso da insignificanti personalismi, possa ancora rappresentare un freno al processo di crescita e di continuo rinnovamento.

    Non solo nei comitati, ma anche nel nuovo partito dovranno e potranno convivere posizioni politiche diverse, così come è sempre stato possibile nella storia del movimento socialista. Anzi il grande valore culturale del movimento socialista italiano, quello che lo distingueva per ricchezza e per struttura interna da tutte le altre organizzazioni politiche, quello che ci consentiva di rivendicare la nostra vivacità e il non essere chiesa obbediente di chicchessia, è sempre stata la nostra libertà di pensiero e la democrazia interna, viva (magari anche se in modo confuso) persino nei momenti peggiori. Abbiamo difeso questo modo di essere con la stessa convinzione con la quale abbiamo sempre sostenuto il valore di libertà e di democrazia nella società. Ciò ha consentito la compresenza all’interno del socialismo democratico italiano di una pluralità di posizioni politiche e culturali, tra loro anche apparentemente in contrapposizione, magari in conflitto sulle tattiche, ma saldamente unite da valori, principi e strategie comuni. Per questo e non per altro siamo pluralisti e difendiamo nella società il pluralismo politico, economico e culturale.
    In altre parole per parafrasare chi da Hammamet ha voluto criticare anche recentemente i nostri tentativi per l’unità socialista, occorre dire che nel nostro nuovo partito potrà convivere sia il melo sia il pero e tante altre diverse essenze, perché in fondo chi non vuole un partito così, e riscopre oggi il tema della riduzione di tante posizioni ad una sola, non vuole la nascita di un nuovo partito socialista, come ormai risulta ben chiaro.

    Chi ha infatti lavorato in questi anni per tenere in vita un piccolo partito non lo ha fatto per tenere in vita un partitino. Noi crediamo che si possano creare le condizioni affinché il movimento socialista, insieme ad altre forze di ispirazione laica e liberale, possa svolgere nuovamente un ruolo da protagonista in questo Paese; possa in un domani non lontano occupare uno spazio politico non ristretto; possa assumere il ruolo di soggetto determinante nel sistema delle alleanze e delle aggregazioni politiche.
    Le condizioni per una prospettiva di queste proporzioni, in soli pochi anni, sono decisamente migliorate.
    Il cosiddetto sistema bipolare, voluto con ogni mezzo, lecito e no, e impiantato, manu militari, per consentire alle forze dell’opposizione della prima repubblica, ex Pci e l’ex Msi, riverniciati nel Pds e in Alleanza Nazionale, di essere non solo parte di un polo di centro sinistra e di uno di centro destra, ma i pilastri e gli arbitri dei due schieramenti, ha subito e sta subendo, anche in queste ore, forti trasformazioni. I principali partiti sia della destra che della sinistra non godono più di buona salute. Nel Pds la recente flessione elettorale (da non confondere con i risultati dei sindaci) è già il sintomo di qualcosa che incomincia a non funzionare, il sistema politico è in forte movimento e le contraddizioni interne agli schieramenti stanno finalmente venendo a galla. Ciò conferma quanto abbiamo prospettato per primi circa un anno fa, quando abbiamo sostenuto l’ipotesi di una scomposizione e ricomposizione degli attuali schieramenti per favorire la nascita di un diverso centro sinistra e di una nuova aggregazione, quello che oggi chiameremmo terzo polo.
    Sono bastate due elezioni in poche giorni, quella del Mugello e quella del 16 Novembre, perché i Poli andassero nuovamente in fibrillazione. Cossiga da sempre ingombrante crea grossi problemi al centro destra e Di Pietro ingombrante e destabilizzante crea problemi nel centro sinistra. Ma anche questo l’avevamo previsto. Il centro è inquieto, ma la proposta di un Polo guidato da Cossiga e di una Unione dei moderati guidata da Di Pietro più che tranquillizzare il centro potrebbe inquietarlo ancora di più.
    Quindi, una cosa è una nuova aggregazione politica, per una politica nuova, innovatrice, che si contrapponga ai conservatori sia di destra sia di sinistra, un conto è un’iniziativa destinata ad avere un breve respiro se si qualifica quasi esclusivamente come la rinascita della vecchia DC.
    Una cosa appare certa, il modello bipolare, quello che ha avuto il suo avvio nel 1994 e che ha retto nella forma perfetta fino all’uscita della Lega dal Governo Berlusconi, può e deve essere profondamente corretto sia dal punto di vista politico, sia modificando il sistema elettorale che è stato alla base di quel modello.
    A questo proposito nel confronto sulle riforme elettorali è necessario starci con estrema chiarezza, perché sia superato l’accordo raggiunto tra Berlusconi e D’Alema in Bicamerale e per ridare al Paese una legge che consenta in modo elementare due cose: la stabilità dei Governi e la rappresentanza delle forze politiche.
    In molti Paesi europei questi due obiettivi si raggiungono attraverso due strumenti principali: il premio di maggioranza e il rafforzamento del sistema proporzionale, che può convivere benissimo sia con elezioni di tipo uninominale (vedi il vecchio Senato) sia con l’elezione diretta del Capo dello Stato.
    La stabilità raggiunta nei comuni e nelle regioni, per i quali il sistema elettorale prevede sia il premio di maggioranza che la proporzionale, dovrebbe essere valutata con più attenzione e da qui si dovrebbe partire per esportare a livello nazionale un sistema elettorale (per esempio quello delle Regioni) che ha dato frutti certamente migliori di quelli ottenuti con l’elezione del Parlamento.

    4. Sul piano politico si tratta con una forte iniziativa politica di rispondere a ciò che molti nostri iscritti, ma in particolare il nostro elettorato, sentono come una contraddizione, e cioè di essere in quanto socialisti forza di sinistra (non si è infatti socialisti perchè si sta a sinistra, ma si è di sinistra perché si è socialisti), ma di mal sopportare, nello stesso tempo, un’alleanza con il Pds. L’altra contraddizione avvertita in egual misura è quella di stare in un centro sinistra, che in qualche modo rappresenta una collocazione naturale, ma del quale non si condivide pressoché nulla.
    La scorsa settimana anche in un’importante ed affollata riunione di dirigenti e quadri sindacali socialisti della Cgil, della Uil e della Cisl, che hanno confermato la loro contrarietà a svendere la componente socialista del sindacato alla Cosa 2, sono state manifestate con chiarezza queste difficoltà.
    La questione è solitamente sintetizzata in questi termini:
    - primo, i socialisti fanno sempre più fatica a condividere un centro sinistra che è ormai anche destra. La vicenda del Mugello da questo punto di vista è esemplare: D’Alema nel tentativo di avere a disposizione più centri (quello di Prodi, quello di Marini, quello di Dini, quello di Di Pietro e magari anche quello di Casini e Mastella) e nel contemporaneo tentativo di sfondare a destra, candida Di Pietro. Il progetto riesce perfettamente e naturalmente chi vota Di Pietro nel Mugello? il Pds insieme ad AN, che insieme gli ricambiano il favore che Di Pietro fece loro quando con tangentopoli costruì le condizioni per la loro legittimazione di Governo;
    - secondo, i socialisti fanno sempre più fatica a riconoscersi nei metodi di governo del Pds. Sono bastati pochi mesi di governo perché siano emersi i vizi del più spregiudicato esercizio del potere, perché fosse introdotto un clima di normalizzazione e di irrigidimento della vita civile con una evidente limitazione degli spazi di libertà, di dissenso, di protesta e persino di controinformazione;
    - terzo, le ragioni non sono solo politiche ma culturali, riguardano una concezione dello Stato che deve essere liberale, non autoritario e non conservatore, riguardano il valore che noi attribuiamo alla libertà collettiva e individuale, riguardano il rifiuto di una cultura di governo in cui riemergono abilmente coniugati l’assistenzialismo della vecchia sinistra DC e gli interessi del grande capitale oggi rappresentati dal Pds.
    Tutte queste argomentazioni per dire che naturalmente non si tratta per i socialisti di prospettare oggi una diversa collocazione, ma di definire i termini di come si sta dentro il centro sinistra e quale autonomia è possibile esprimere.
    Autonomia significa stare nel centro sinistra con le proprie idee e con le proprie proposte, autonomia significa stare nel centro sinistra finchè le condizioni lo consentono, autonomia significa lavorare per la costruzione di un’aggregazione politica nella quale la cultura del socialismo democratico e liberale sia determinante, autonomia significa, come più volte abbiamo detto lavorare per costruire una sinistra che non c’è in alternativa a quella ex e post comunista che oggi c’è, sapendo che questo è l’esatto contrario di quello che vorebbe il Pds.
    La nostra idea forza è quindi l’autonomia come punto centrale della nostra iniziativa politica. In altre parole i socialisti non stanno con la destra, non si accodano ai democristiani e non intendono essere subalterni al Pds.

    D’altra parte bisogna prendere atto che a poco più di un anno dalle elezioni politiche del ‘96 i rapporti tra noi e il Pds sono notevolmente cambiati. Intanto con la proposta della Cosa 2 si è accentuata da parte del Pds l’iniziativa per eliminare definitivamente qualsiasi formazione politica di ispirazione socialista che non sia annessa alla sua organizzazione, in secondo luogo è bastato che il più accreditato e possibile sostenitore della Cosa 2, Giuliano Amato, esprimesse con un articolo sul Corriere alcune perplessità sulla capacità del Pds di essere riformista, che è scattata, in perfetto stile stalinista, da parte di Salvi anche nei suoi confronti l’insinuazione di essere disonesto e corrotto.
    Il problema quindi non è più solo quello se i socialisti sono ben disposti o no ad intese con il Pds, ma è ormai inverso e riguarda l’insofferenza del Pds nei confronti di una formazione autonoma dei socialisti.

    5. Sui contenuti intendo sottolineare solo queste emergenze:
    - occorre sostenere a fondo e in modo diffuso, coerentemente, anche in ogni sede locale, il nostro progetto di riforma costituzionale e non essere indulgenti, ad ogni livello, nei confronti di tutti coloro che operano nei fatti contro il federalismo. Noi sosteniamo che lo Stato deve essere articolato in modo paritario tra Stato centrale, Regioni e Comuni. Abbiamo la convinzione che occorre “più Governo e meno Governi” e pertanto confermiamo le nostre perplessità sul ruolo che le Province vorrebbero assumere e in Lombardia siamo contro la costituzione dell’area metropolitana;
    - in materia di politica economica e sociale i socialisti non possono condividere una manovra di Governo che tende a difendere e a proteggere i soli lavoratori dipendenti occupati (per esempio con la proposta di 35 ore lavorative) trascurando i problemi dell’occupazione dei giovani e di coloro che hanno perso prematuramente il posto di lavoro (una manovra basata su una politica fiscale che non favorisce l’occupazione e penalizza il lavoro autonomo più produttivo, come avviene con l’introduzione della nuova tassa, l’Irap, iniqua nella sostanza e che di regionale ha solo il nome), una politica che tende peraltro a scaricare ingiustamente e quasi esclusivamente sui pensionati tutto il peso delle difficoltà finanziarie del Paese;
    - sulla scuola non è più accettabile una politica ormai paleolitica, ancora accentrata nelle mani di un Ministro dell’Istruzione che prende la triste decisione di finanziare la scuola privata in netto contrasto con le nostre più profonde convinzioni. In un paese moderno non ha più senso un Ministero della Pubblica istruzione come il nostro, anzi dovremmo chiedere il sostanziale scioglimento di questo Ministero a favore di un modello di organizzazione basato sulla regionalizzazione del sistema scolastico e sul rafforzamento dell’autonomia delle singole sedi, dentro questo modello si definirà il ruolo della scuola pubblica e di quella privata, lo status non solo giuridico dei docenti, il ruolo delle famiglie e degli studenti, oggi come non mai, messi fuori dal sistema decisionale;
    - sulla giustizia ci sono naturalmente ancora molte battaglie da fare, ma per stare ai lavori della Bicamerale, occorre evitare che i risultati ottenuti, anche se inferiori a quelli che noi avremmo desiderato, vadano perduti. In Parlamento bisogna stare ancora più in guardia perchè è evidente che il cambio di rotta del Pds e l’arrivo di Di Pietro mirano a rafforzare una politica giustizialista e a dare al potere giudiziario quello che compete al potere politico.

    6. Per concludere un accenno alle elezioni di domenica scorsa che hanno confermato alcuni dati già evidenti nelle elezioni di aprile con l’aggiunta di una positiva soddisfazione: i socialisti hanno fatto un ulteriore passo avanti, hanno dimostrato di avere un proprio radicamento elettorale, hanno rafforzato anche in Lombardia il dato di primavera. Il dato medio nazionale si colloca intorno al 3,5 - 4 per cento e quello regionale è assai simile.
    Si tratta di un dato relativamente omogeneo che sostanzialmente prescinde dall’essere dentro o fuori una coalizione. E’ un dato che sarebbe stato certamente più soddisfacente se non si fosse verificata ancora una certa proliferazione di presenze socialiste al di fuori delle liste unitarie. Da ciò risulta evidente come l’unità dei socialisti anche in termini elettorali rappresenta un fatto di straordinaria importanza.
    Gli elementi di debolezza maggiore per i socialisti in Lombardia come nel resto del Paese sono ancora le grandi città e i comuni capoluoghi, dove più debole è la nostra organizzazione e dove pesa maggiormente un voto di opinione che i mass media non orientano positivamente nei nostri confronti.
    Occorre che da subito tutte le strutture del partito si impegnino in modo particolare in queste città, per preparare fin d’ora le prossime scadenze, i prossimi amministratori e le prossime liste, organizzando un radicamento costante sulle cose, per evitare di scaricare sulle elezioni amministrative il peso di questioni politiche, che ormai appassionano sempre meno l’opinione pubblica e non appassionano per niente una campagna elettorale di tipo amministrativo.
    I comitati che si costituiscono a partire da oggi, i Comitati per l’Unità dei socialisti, con il loro lavoro, la loro presenza e le loro proposte rappresenteranno il know haw più avanzato della nostra organizzazione e certamente ci aiuteranno ad uscire maggiormente allo scoperto con un contatto sempre maggiore con i problemi dei cittadini.

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