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  • 22 febbraio 2005 - BISCARDINI PER L´ASSEMBLEA COSTITUENTE- Il testo integrale dell´intervento in Aula

    (Misto-SDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, dobbiamo ammettere un po’ tutti che il bilancio di due decenni di dibattito e di iniziativa politica intorno al tema della riforma costituzionale non è per nulla esaltante: non dico che stiamo qui a celebrare il funerale di questo iter, ma poco ci manca.
    Oggi, qui in Senato, rischiamo di compiere un altro atto negativo, con una modalità al limite di quelle regole democratiche a cui dovrebbero ispirarsi i lavori di quest´Aula. Si è rifiutata ogni discussione, ogni confronto, per accelerare l´esame di questo provvedimento - come è stato già detto - a scopo propagandistico ed elettorale, a scapito della ricerca di un processo condiviso su un tema così delicato come la nuova Carta costituzionale.
    Avevate a disposizione, colleghi della maggioranza, due percorsi possibili: potevate definire una riforma importante come questa in modo equilibrato, confrontandovi con il centro-sinistra che è stato pronto ed è pronto a percorrere con correttezza questa strada, ma avete invece scelto la via dello scontro, del chiudersi in se stessi, del blindare il provvedimento, sottomettendo peraltro il Parlamento all´arroganza della maggioranza e alle decisioni del Governo, un´arroganza anche accompagnata da grande confusione.
    Ora, se l´arroganza fosse portatrice di un´idea chiara, si potrebbe superare la critica, ma se l´arroganza è accompagnata da una grande confusione e - permettetemi di dirlo - da un livello molto basso della politica la conseguenza più immediata è il continuo logoramento dei rapporti politico-istituzionali e una riforma molto criticabile sia dal punto di vista concettuale che da quello politico e culturale.
    La riforma al nostro esame è l´espressione di una classe dirigente che non dirige e che non sa cosa vuole, di una classe politica molto debole. È la dimostrazione che, probabilmente siamo ancora nel pieno di una transizione che non si è chiusa: se la prima Repubblica, che pure aveva tentato di affrontare il problema finì per eccesso di politica, questa Repubblica con il vostro contributo rischia di finire a causa della sua debolezza.
    Non è un giudizio personale, molti sono convinti che questa sia la situazione, molti osservatori esterni, molti autorevoli esponenti della cultura giuridico-isituzionale, molti politici, tra cui numerosi stanno anche dalla vostra parte e cominciano a tirare questa somma: la classe politica attuale esprime una politica così debole che non è in grado di affrontare un tema così alto come la riforma della nostra Costituzione.
    Si vuole portare a casa un risultato, costi quel che costi, al di là dei contenuti e di ciò che è nel vero interesse dei cittadini: forti solo di una maggioranza parlamentare - che, per fortuna, a mio avviso è ormai lontana dai reali rapporti di forza esistenti nel Paese - continuate a perseverare nell´errore.
    La maggioranza non si è fermata di fronte a nulla, ha rigettato tutti gli appelli e le preoccupazioni che venivano da autorevoli costituzionalisti, non si è fermata davanti agli appelli delle massime cariche istituzionali, a nulla sono valsi gli appelli del Presidente della Repubblica e i suoi continui richiami alla salvaguardia dell´unità nazionale, a nulla sono valsi gli appelli anche del Presidente della Camera, che ha ripetutamente chiesto a tutte le forze politiche di scrivere insieme questa riforma, con queste testuali parole: ”evitando di inquinare i pozzi della vita pubblica italiana”.
    C’era in quelle parole tutta la preoccupazione di recuperare un dialogo istituzionale con l’opposizione sulle grandi questioni di fondo, ma nella vostra coalizione è prevalsa una confusa, anche in questo caso, linea dei falchi, che avete esercitato con il metodo tipico di chi esercita la dittatura della maggioranza, non per realizzare una riforma seria, ma per risolvere problemi che sono dentro gli equilibri della vostra coalizione.
    Io mi auguro che non continui così: se l’atteggiamento che avete tenuto finora non cambierà nei prossimi giorni, è chiaro che solo il referendum costituzionale potrà rimediare all’errore e rimetterà le cose al punto in cui erano, nuovamente al nastro di partenza.
    Ma noi vi chiediamo un’altra volta, anche in questi giorni, di cambiare atteggiamento, di non comportarvi come è successo in Commissione anche nelle ultime settimane. Vi chiediamo di consentire al Parlamento di affrontare in Aula ciò che non è stato possibile discutere in Commissione e di affrontare con una discussione serena e seria le questioni che sono sul tavolo.
    Non diamo per fatta una riforma che non ha i minimi contorni per essere tale: io sono convinto che molti di voi diano questo giudizio. Teniamo aperto il confronto e dimostrate di avere una cultura di Governo più che i soli muscoli; dimostrate che almeno le incongruenze più macroscopiche presenti in questa riforma possano essere corrette da quest’Aula del Senato.
    Ma veniamo al merito. Noi socialisti, già dal disegno di legge che presentammo nel 1997, ma ancor prima, per la verità, quando agli inizi degli anni Ottanta ponemmo il tema della ”grande riforma” e quindi dell’esigenza di un grande processo di modernizzazione del Paese, indicammo proprio nella riforma costituzionale il momento decisivo per dare all’Italia un nuovo futuro, una nuova realtà, una nuova prospettiva.
    Indicammo alcuni obiettivi che io credo rappresentino ancora un punto di riferimento importante.
    Allora ponemmo, per esempio, il tema dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che coesistesse però con una forma di governo parlamentare e con un Governo responsabile davanti al Parlamento, nel rispetto e nella conferma della tradizione parlamentare italiana.
    Proponemmo la modifica del sistema bicamerale, trasformando uno dei due rami del Parlamento nella Camera o Senato delle Regioni, sul modello della Costituzione tedesca, con un ruolo del Senato delle Regioni che non si doveva sovrapporre e confondere con quello dell’altra Camera.
    Proponemmo la costituzione di uno Stato federale ripartito paritariamente in Stato centrale, Regioni e Comuni, princìpi ai quali in parte si è poi ispirata la riforma del 2001.
    Proponemmo la modifica delle norme sul Consiglio superiore della magistratura, per introdurre in Costituzione la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.
    Era una proposta semplice, ben lontana dalla complessità e farraginosità delle norme che nei prossimi giorni esamineremo una ad una e con i relativi emendamenti. Era una proposta chiara, perché la Costituzione regge se è ispirata da princìpi semplici e da norme e idee chiare.
    Io credo che, se non succede niente in quest’Aula, il giudizio, per così dire, è già dato, rischiamo solo di ripeterlo, ed è il giudizio intorno ad una Costituzione, una riforma che, come ho detto prima, da un lato non chiude la transizione politica che si è aperta all’inizio degli anni Novanta e, dall’altro, non chiude neppure la transizione delle tante riforme costituzionali, alcune certamente affrettate, a cui il Parlamento ha sottoposto la nostra Costituzione in questi ultimi dieci anni, tutto il Parlamento, non solo una parte di esso. A partire da quella che dovrebbe essere rivista per prima.
    Mi riferisco alla riforma del 1999, che ha introdotto l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni, confermando già allora la tendenza a mischiare forme di governo di tipo parlamentare con forme di governo di tipo presidenziale, sicché oggi ci troviamo - credo unico Paese al mondo - ad avere dei presidenti delle Regioni che pensano di vivere in un sistema presidenziale e dei Consigli regionali che pensano di vivere in un sistema parlamentare.
    La vostra riforma non pone le basi per definire un moderno sistema federale. Anche in questo caso mescola - come è stato detto - vaghe ispirazioni secessioniste con logiche, tendenze e aspirazioni fortemente centraliste. Altro che devolution! Spinte centraliste che soffocheranno il principio fondamentale del potere delle autonomie e non faranno altro che aumentare, come si è già visto negli ultimi anni, il contenzioso amministrativo tra autonomie locali, Regioni e Stato centrale e i ricorsi alla Corte. Da questa riforma non esce uno Stato forte in tutte le sue diverse articolate istituzioni, ma uno Stato malamente federale, sempre e troppo debole, al centro come nelle istituzioni locali.
    La vostra riforma non sceglie una forma di governo chiara. La vostra riforma non definisce un Senato federale; per la verità, quel Senato è un paradosso.
    La vostra riforma non rafforza le regole democratiche di una moderna democrazia, non parte dal presupposto fondamentale che quello che dovrebbe interessare di più - e a noi socialisti interessa di più - dovrebbe essere, scrivendo la Costituzione, il tema del rafforzamento della democrazia e di quella rappresentativa in particolare; questione, mi sembra, lasciata completamente in disparte.
    Mi viene la voglia di citare anch’io - ma da un altro punto di vista - Robert Dahl, quando dice che così facendo, esercitando il principio della volontà della maggioranza, ”il cosiddetto Governo democratico” - lo state attuando alla perfezione - ”arriva a creare una società con una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, cui nessuno potrà sfuggire. E i cittadini saranno ridotti a null’altro che ad un gregge di animali timidi e industriosi il cui pastore è il Governo”.
    Guardando questa riforma sono rimasto impressionato dalla complessità degli articoli (non esiste, credo, riforma costituzionale al mondo che abbia tale caratteristica), dalla minuziosità quasi regolamentare con cui alcune scelte vengono indicate, ma soprattutto dal fatto che non si respira quell’aria di libertà che forse una riforma doveva affrontare. Tutto ciò conferma che stiamo un’altra volta rischiando di sprecare un’occasione, che dopo il referendum dovremo ricominciare da capo.
    Un’ultima considerazione: alla prova dei fatti, a me pare sempre più evidente che un Parlamento eletto con un sistema maggioritario come l’attuale non sia lo strumento più idoneo per riformare la Costituzione. Un Parlamento eletto con un sistema maggioritario ed un Governo che ne è l’espressione non sono in grado di riformare una Costituzione che era stata scritta e pensata perché perdurasse nel tempo un sistema parlamentare sorretto da elezioni di tipo proporzionale.
    Rimango sempre più convinto che un sistema parlamentare che vive solo sulla contrapposizione, che non sa e non vuole ricercare mai alcuna mediazione, non è in grado di affrontare grandi questioni come la riforma costituzionale ed è già - per la verità - la manifestazione forse più evidente di una crisi di sistema latente e prossima.
    Allora, dopo tanti tentativi e, permettetemi, di fronte alla pochezza del disegno di legge che abbiamo per le mani, non resterà probabilmente che cambiare strada, scegliendo un nuovo percorso.
    Sarebbe già un passo in avanti ammettere tutti insieme che a metà degli anni ’90, dopo i fallimenti delle prime Commissioni bicamerali, si sbagliò a non affrontare di petto la situazione affidando la riforma costituzionale ad una assemblea costituente da eleggere direttamente, con sistema proporzionale, sottraendo la Costituzione a un Parlamento eletto con sistema maggioritario, alle logiche interne agli equilibri di Governo e al conflitto politico fra due schieramenti. Credo che questo sia il punto che prima o poi dovremo discutere ed affrontare.
    La questione si riproporrà e dopo questi fallimenti la riforma costituzionale, nelle mani di un’assemblea costituente, può ritornare ad essere un grande fatto politico e, alla luce del sole, l’espressione democratica del popolo elettore. Credo che dopo sessant’anni ciò rappresenterebbe una svolta storica e sarebbe il segno vero dell’inizio condiviso di una nuova Repubblica, la seconda. Quella in essere, infatti, non è la seconda Repubblica, ma solo il lento proseguimento della prima. La seconda Repubblica (e più in generale le Repubbliche), in tutti gli stati democratici, nasce con le nuove Costituzioni: nuove Costituzioni che abbiano il coraggio di affrontare complessivamente i problemi che sono di fronte al Paese. (Applausi dei senatori Dato e Tonini).

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